VAI A: 01:20 Le Streghe

La figura della strega ha radici antichissime, che precedono di molto il cristianesimo, profondamente intrecciata con i riti magici di migliaia di anni fa. La stessa Bibbia, nel libro di Samuele, cita la strega di Endor, una negromante dotata del potere di evocare lo spirito dei morti. Figure femminili legate alla magia si ritrovano già nella tradizione dell’antico Egitto, legata in particolare al culto di Iside, della Mesopotamia e dell’Ebraismo, con la figura della divinità Lilith, e sono figure rilevanti anche nell’epoca classica, le striges di cui parla Teocrito, anche se il concetto più vicino alla strega moderna è derivato dalla cultura del mondo romano, con le figure legate ad una femminilità selvaggia, proprie del culto di Diana, Ecate ed Erodiade.

"Danzano in tondo, tenendosi per mano e dando le spalle al centro della danza. Qualche volta, ma più di rado, ballano in coppia, vale a dire un uomo da solo con una ragazza oppure uno qui e l'altra là, in gran confusione. E tali danze sono simili a quelle delle Fate, che un tempo regnavano in quei boschi."

Tradotta dal francese seicentesco dal giudice Henry Boguet, la descrizione che avete letto non si riferisce a una allegra fe­sta campestre: si tratta infatti nientemeno che di un Sabba, il diabolico congresso delle streghe. Per di più la musica, eseguita da allegri flauti e trascinanti violini, era diretta da un uomo mascherato da caprone che i cristiani iden­tificavano col diavolo in carne e ossa.

Nel folklore popolare occidentale la figura della strega ha avuto solitamente un'accezione negativa: si riteneva che le streghe usassero i loro poteri per nuocere alla comunità, soprattutto a quella agricola, e che prendessero parte a dei raduni periodici chiamati sabba dove adoravano il Demonio. La parola Sabba deriva dal verbo greco sabathein, danzare. Nei tempi antichi, le feste in onore di Bacco erano chiamate Sa­bos. C'è molto in comune tra l'ebbrezza delle Baccanti (le sacerdotesse del dio Bac­co) e quella delle streghe. La stregoneria discende infatti dagli antichi culti pagani della fertilità, che servivano ad assicurare l'abbondanza dei raccolti e la prosperità del bestiame. Venivano adorati un dio cor­nuto (che divenne poi noto come Pan) e la dea lunare che proteggeva i raccolti, Diana o Ecate. Le feste più importanti cadevano ogni tre mesi: il 2 febbraio (Candelora), il 30 aprile (Va purga), il 1° agosto (Lammas) e il 31 ottobre (Halloween).

Quando, dopo la conversione di Costantino, il Cristianesimo divenne la religione dell'Impero Romano, esso si estese dalla capitale al resto dell'Europa. Ma, nonostante la sua diffu­sione, i contadini continuavano a praticare la "Vecchia Religione" e a venerare Pan ed Ecate. La gente semplice si rivolgeva a guaritori e a maghe per risolvere i propri problemi,e aveva del Cristianesimo una comprensione superficiale.

La Chiesa delle origini non cercò di to­gliere al popolo le sue feste tradizionali ma sovrappose signifi­cati cristiani alle vecchie ricorrenze: Hal­loween divenne la festa di tutti i Santi, e il 25 dicembre, altra festa pagana legata alla rinascita del Sole, fu iden­tificato con il Natale.

Prima dell'anno Mille, dunque, la Chiesa riteneva che la Magia Ne­ra fosse solo una superstizione, e non puni­va le streghe, bensì i loro intolleranti perse­cutori. Ma la situazione, di lì a qualche secolo, si sarebbe tragicamente rovesciata. Nel secolo XIII, infatti, la Chiesa si trovò assediata da numerose sette eretiche che ne mettevano in pericolo l'unità religiosa. Al­lora, per timore che i riti pagani degeneras­sero in nuove eresie, essa rinnegò la politica illuminata dei secoli precedenti. Papa Alessandro IV dichiarò che le stre­ghe andavano perseguite e giustiziate come eretiche. Fu un paio di secoli dopo, nel 1431, che si ebbe la prima vittima illustre: Giovan­na d'Arco, bruciata a Rouen perché vestiva abiti da uomo e asseriva di udire le voci di Dio e degli angeli. Secondo i suoi accusatori le voci appartenevano invece ai demoni. Nel 1484 Papa Innocenzo VIII pubblicò una Bolla Pontificia in cui si appoggiava la diffusa diceria secondo la quale le streghe erano in grado di lanciare il maleficio su uomini e animali. Nel 1487, infine, fu dato alle stampe il Malleus Maleficarum ("Mar­tello delle Streghe") di Sprenger e Instito­ris, volume in cui si accusavano le streghe di praticare la Magia Nera e stipulare patti con il diavolo, e si spiegava come scoprir­le, interrogarle, eliminarle. Milioni di per­sone, soprattutto donne, sarebbero morte sul rogo nei tre secoli seguenti, costrette a con­fessare di essere streghe pur di farla finita con le torture.

Dopo aver consegnato al rogo milioni di persone, la caccia alle streghe legalizzata cominciò a declinare. L'Olanda l'abolì già nel 161O, l'Inghilterra nel 1682, mentre l'Inquisizione spagnola condannò l'ultima strega nel 1826.

VAI A: 07:05 Il Processo di Triora

Processi alle streghe furono purtroppo presenti in tutto il mondo occidentale. Celebre in Italia il processo di Triora, in Liguria, svoltosi tra il 1587 e il 1589. Fu il più grande processo per stregoneria della fine del XVI secolo,

All'epoca dei fatti, Triora, appartenendo alla Repubblica di Genova, era un borgo fortificato al centro di intensi traffici commerciali tra il Piemonte, la costa e la vicinissima Francia. Da circa due anni, il comune soffriva a causa di una terribile carestia, che venne ben presto attribuita ad un intervento del maligno e delle streghe a lui devote..

Nell'ottobre del 1587 il Parlamento locale, durante una seduta, chiese alle autorità civili e religiose di intervenire contro le presunte streghe. Durante la celebrazione della messa, al momento della predica, il sacerdote chiese ai parrocchiani di denunciare le streghe. Vennero così arrestate venti donne che, a causa delle denunce estorte con torture, divennero presto trenta. In pochissimo tempo avvennero le prime morti: Isotta Stella, una sessantenne di nobile famiglia, morì per le torture subite, un'altra donna invece si gettò dalla finestra.

A seguito di queste tragedie e del clima di terrore che si era venuto a creare, al processo intervenne anche il Consiglio degli Anziani, che il 13 gennaio 1588 chiese agli Inquisitori di procedere con maggior cautela; vi erano tra le trenta donne infatti alcune persone nobili e influenti nella comunità.

Dopo breve tempo il governo genovese si mise in moto e nei primi giorni di maggio del 1588 arrivò l'Inquisitore Capo il quale visitò le carceri, ma dispose la scarcerazione di una sola ragazzina di tredici anni. Un mese dopo, in giugno, Genova mandò un commissario di nome Giulio De Scribani che inasprì il clima di terrore trasferendo le donne incarcerate a Genova e facendo di tutto per trovare altre nuove streghe. Questa persecuzione si estese anche ai paesi vicini come Castel Vittorio e Sanremo, ove ebbero inizio altre cacce alle streghe.

De Scribani chiese il supplizio del rogo per quattro donne, il governo però tentennò e domandò aiuto al giudice Serafino Petrozzi; quest'ultimo prese posizioni opposte e il caso diventò ben presto più legato alla politica e si susseguirono diverse revisioni del processo e cambi di competenza. Finalmente, al 23 aprile del 1589 il tragico processo alle streghe venne terminato. Era la libertà. ma non per tutte: cinque morirono in carcere e di altre non si ebbero più notizie.

In più occasioni numerosi studiosi moderni hanno posto in rilevo il fatto che la caccia alle streghe fu principalmente una violenta lotta contro le donne da parte di un potere in gran parte misogino. Nel mondo moderno la figura della strega tornata sempre più alla ribalta, legata soprattutto ai movimenti di emancipazione femminile. Le streghe sono l’emblema del potere femminile non autorizzato. La loro forza è originale e autonoma, svincolata dai modelli maschili. Non è un caso quindi che nel corso della storia sono diventate un vero e proprio simbolo della donna che si oppone alle istituzioni maschiliste e patriarcali. La magia delle streghe è frutto di un potere che si contrappone ai canoni rigidi della tradizione.

Ma l'intolleranza popolare, che è figlia dell'ignoranza, non ha tuttora cessato di cacciare streghe. La persecuzione del diverso è purtroppo una tematica ancora fin troppo attuale.

VAI A: 11:11 Le Fate

Il termine “Fata” deriva dal gaelico “faunoe” o “fatuoe” che nella mitologia pagana indicano le compagne dei fauni; tale parola viene fatta risalire anche al termine “fatica” che nel medioevo era sinonimo di “donna selvatica”, ovvero di donna dei boschi, delle acque, e in genere del mondo naturale (D. Larkin, 1978). Magiche creature con ali di farfalla, con grazia e bellezza superiore a quella umana, vivono gentili in magici boschi, svolazzando da un fiore all’altro: sono queste le fate come le conosciamo oggi. Ma questa non è stata sempre sinonimo di bellezza e positività. Nella più antica tradizione, la fata aveva anche una natura maligna e vendicativa.

Le leggende e i miti sull’origine delle Fate sono molti e diversi, spesso contraddittori. Ad esempio nella mitologia norvegese le creature del piccolo popolo presero origine dalle larve che uscirono dal cadavere del gigante Ymir. Nacquero così gli Elfi della luce, benigni, e quelli delle tenebre, maligni. Nella tradizione islandese Eva nascose a Dio alcuni dei suoi figli; essi diventarono gli Elfi e le Fate, che nei paesi scandinavi furono conosciuti come il popolo di Huldre. Le fanciulle Huldre sono eccezionalmente belle, ma hanno lunghe code di mucca oppure dietro sono cave.

Nel medioevo le Fate erano anche indicate con il nome di “donnae nocturnae”, considerate portatrici di benessere, e oggetto di culti pagani in cui era molto forte il legame dell’uomo con la natura. Con l’avvento del cristianesimo, la figura della fata viene rivista e reinterpretata secondo i precetti cristiani. Esse diventano quindi a seconda delle versioni angeli caduti, anime di bimbi non battezzati, morti pagani non abbastanza buoni per il paradiso nè abbastanza cattivi per l’inferno. Tra il XII e il XIII secolo, nel periodo dell’Inquisizione, molte delle creature del folklore vengono demonizzate; è anche il caso delle Fate, che vengono assimilate alle Streghe. Nei secoli a venire la tradizione orale e artistica, come la letteratura per bambini e la pittura, ha messo in luce soprattutto lo spirito solare e altruista della Fata; tutto questo ha portato all’immagine moderna che ben conosciamo.

VAI A: 13:40 La Tradizione Italiana

Per poter vedere le fate, non tutti i giorni sono buoni. C'è un giorno particolare, il 7 agosto, in cui le fate sono solite spostarsi da una collina ad un'altra; proprio durante questo loro viaggio è possibile incontrarle. Attenzione però, non lasciatevi incantare dallo splendore del loro mondo, ma limitatevi ad osservarle silenziosamente. Se provate ad avvicinarvi sarete prima avvertiti dell'incombente pericolo da strane voci, rumori sinistri, tempeste violente; se ignorate i loro moniti sarete soggetti a grosse sfortune, disastri, e addirittura potreste andare incontro alla morte. Se non riuscite ad incontrare le fate, basta solo girare per nove volte intorno alla collina da loro abitata, in una notte di luna piena, per poter scoprire l'ingresso del loro mondo.

Nelle notti di luna piena la vetta del Monte Bianco risplende di bagliori dorati: sono le fate che giocano con palline d'oro, di berillo e di acquamarina. Le pareti delle caverne scelte dalle fate trasudano gocce dorate e l'intera cima del Monte Bianco è d'oro purissimo celato dai ghiacci perenni. In queste notti anche alle pendici del Monte Crivari, tra le valli di Susa e di Viù, è possibile osservare le fate giocare. Esse attraversano in un turbinio sfavillante la regione su carri di fuoco guidati da bianchi destrieri seguiti dalle risa e dai canti dei folletti. Nella Alta Val Venosta e nella Bassa Engadina tra le spaccature della roccia e del terreno sono nascosti i tesori delle Diale, bellissime fanciulle dal piede caprino: guai ad innamorarsene perchè sono imparentate con il demonio.

Sotto Monte Còmero, in Romagna, in una zona rocciosa sono scavate le quattro grotte delle fate, il cui ingresso è inaccessibile agli uomini. La nuda pietra che so scorge è frutto di un incantesimo che tiene celato il prodigioso castello delle fate che un lontano giorno esse abbandonarono per un ignoto motivo. Hanno lasciato, però, in pegno del ritorno i loro telai d'oro purissimo. A guardia di tanta ricchezza vigila un enorme serpente capace con un soffio di far precipitare nel burrone sottostante chiunque osi tentarne il furto. Il Parco Naturale dei Monti Sibillini, prende il nome dal Monte Sibilla, abitato proprio da questa leggendaria figura. Sulla vetta vi è una grotta (ormai crollata) chiamata per l'appunto "Grotta delle Fate", secondo la leggenda abitata da un folto gruppo di creature fatate che prendevano parte ai riti della Sibilla.

Gli apligiani della Val Grande di Lanzo raccontano che in alcune notti estive, particolarmente ricche di stelle, le fate scendono a danzare e cantare sui prati. Nessuno però osa uscire o guardare lo spettacolo, perchè il castigo sarebbe di precipitare in una profonda voragine. Sul Monte Oe, in Sardegna, sorgeva lo splendido Palazzo delle Fate, 'Sas Fadas'. Queste bellissime creature fornite di ali ogni notte scendevano in paese e giravano tra le vie, entrando ogni tanto in qualche case, passando attraverso il buco della serratura. Se vi trovavano una persona che andasse loro a genio la svegliavano chiamandola tre volte, e la portavano con sè nel loro palazzo, nel quale venivano mostrate casse piene d'oro e pietre preziose; veniva quindi invitata a prendere ciò che voleva. Ma tutto ciò che quella persona avrebbe preso si sarebbe trasformato in carbone: sarebbe stato necessario tornare là di giorno con un rosario e gettarlo sul tesoro per poterselo assicurare.

Sugli abitanti di Issime, in Val d'Aosta, veglia una fata benefica, la Donna Bianca, che quando non può allontanare una sventura, avverte i pastori sui monti con lunghe grida desolate. È stata vista qualche volta, vestita di bianco, seduta sull'erba, ma se si cerca di avvicinarla scompare.

Gli inviti a visitare una collina delle fate devono essere vagliate con cautela: qualsiasi offerta di cibo o di bevanda va rifiutata, perché potrebbe provocare una schiavitù perpetua. Queste e molte altre caratteristiche dell'esistenza sotterranea delle fate sono simili alle concezioni mitologiche sugli inferi, che hanno un Monarca onnipotente e in cui il più piccolo boccone rende i mortali incapaci di fuggire.

VAI A: 16:41 Le Fate di Cottingley

Tra il 1917 e il 1920 la piccola Frances Griffiths e sua cugina Elsie Wright scattarono, nei giardini della loro casa di Cottingley (alla periferia di Bradford, Yorkshire), cinque misteriose fotografie che raffiguravano le due giovani intente a giocare con delle creature fatate.

Ben presto le foto fecero scalpore in tutta l’Inghilterra. La società teosofica di Bradford, nella persona di Edward Gardner, spedì le foto a Sir Arthur Conan Doyle (il famoso autore di Sherlock Holmes, che in quegli anni, avendo appena perso il figlio in guerra, aveva cominciato ad interessarsi di spiritismo e paranormale), con lo scopo di verificarne l’autenticità.

Doyle pubblicò quindi un primo articolo sulla vicenda nel numero di “Strand Magazine” del dicembre 1920, dal titolo “Fairies photographies an Epoch making event”. Un secondo articolo confermò l’autenticità delle foto dopo essere state sottoposte ad ingrandimenti ed esami dai più competenti fotografi inglesi.



Iniziarono però a sorgere voci in contrasto con le affermazioni di Doyle; si cercarono altre spiegazioni possibili, come ad esempio l’uso di immagini ritagliate al posto di vere fate. Lo scrittore insisteva sulla veridicità e la buona fede delle bambine, asserendo che non esisteva una pubblicazione contenente immagini simili, e che i risultati effettuati sulle foto avevano addirittura individuato segni di movimento nelle figure. Fu solo nel 1978 che un ricercatore riuscì ad individuare l’origine delle misteriose fate di Cottingley; scoprì che erano identiche a delle immagini presenti nel libro “Princess Mary’s Gift Book”, pubblicato nel 1915. Le due cugine, nel 1981, hanno infine ammesso di aver ritagliato le fate proprio da quel libro e di averle quindi usate per le foto. Stranamente insistettero fino alla fine che la foto che rappresentava alcune fate nel loro "bagno di sole" fosse autentica.

VAI A: 18:53 Le Sirene

"Era uno spettaco­lo stupendo quale non si vede mai sulla terra. Le pareti e il soffitto della sala da ballo erano di cristallo spesso e trasparen­te. Migliaia di conchiglie giganti, rosse o verdi come l'erba, stavano allineate ai due lati: erano accese da un fuoco azzurro, fiammeggiante, che rischiarava la sala in­teramente e si rifletteva fuori oltre alle pa­reti, così che il mare intorno ne era tutto il­luminato; si potevano scorgere pesci innumerevoli, piccoli e grandi, che cozzavano contro la parete di cristallo; alcuni avevano scaglie rosso-scarlatte, altri d'ar­gento, altri dorate. Nel mezzo della sala scorreva un largo fiume e sull'acqua dan­zavano i delfini e le sirene al canto delle loro voci bellissime. Voci così belle non hanno gli uomini della terra

È un brano della celebre Sirenetta di Hans Christian Andersen; la piccola sirena della favola, pur di vivere accanto al prin­cipe, darà il suo canto alla strega del mare, che le taglierà la lingua e le metterà due gambe di donna umana al posto della coda di pesce. Ma quelle gambe estranee le pro­cureranno terribili dolori, e il principe non comprenderà mai l'amore che prova per lui quella strana ragazzina muta.

Il mito della Sirena è ancora vivo nella fantasia popolare. Con le loro irresistibili melodie attiravano i marinai verso le loro isole rocciose e li facevano naufragare. Ulisse, nella mitologia e nella tradizione greca, è l'unico essere umano ad aver ascoltato il loro canto ed essere sopravvissuto. Nelle storie degli Argonauti le sirene vengono descritte come esseri con il viso di donna ma il corpo di uccello, simili alle arpie. Essi vengono salvati grazie all'intervento di Orfeo, che con la sua musica riesce a vincere l'ammaliante canto delle sirene che, gelose, si gettano in mare si trasformano in scogli. Nella tradizione europea, invece, sono raffigurate come splendide creature metà donna e metà pesce, e attraverso le fiabe e la tradizione cinematografica, la loro figura ha assunto significati positivi e di bellezza, perdendo la loro originaria natura terrificante.

La loro tradizione nasce proprio in Grecia, e si sarebbe poi diramata attraverso il mediterraneo fino al Nord Europa. La cosa interessante è però la loro mutazione da mostri metà donne metà uccello ad esseri dalla bellezza formidabile metà donne e metà pesce. La prima volta in cui si parlò di Sirene con la coda di pesce fu nel "Liber Monstrum", scritto alla fine del VI secolo, dove si afferma che furono invenzione dei Franchi. Secondo Norman Douglas (nel libro "La terra delle Sirene" del 1911) però sarebbe un arbitraria attribuzione da parte dell'autore. Secondo Douglas, infatti, l'immagine delle donne-pesce esisterebbe da tempo immemore nell'emisfero settentrionale.

Nulla attraversò mai la piccola Grecia senza uscirne rinnovato e purificato: mille correnti torbide affluirono verso l'Ellade da ogni parte del mondo per defluire in modo splendido, come un fiume limpido e tranquillo che doveva fecondare il mondo. Così avvenne anche per le Sirene: come tante altre cose, esse erano solo un prodotto importato, una delle nuove idee che, al seguito delle correnti commerciali, erano riuscite ad insinuarsi tra i Greci e ne alimentavano la fantasia artistica.

Creatura mitologica quindi, ma non mancano resoconti da parte di chi una Sirena l'avrebbe vista veramente. Ad esempio nel 1403 ne fu catturata una nello Zuider Zee, in Olanda, e poi portata ad Harleem. Poiché era nuda, si lasciò vestire, imparò a mangiare e pian piano si integrò nella società, e lì visse fino a tarda età. Ma non parlò mai. In Portogallo, ad esempio, è documentata la disputa tra la Corona e il Gran Maestro dell'ordine di San Giacomo in merito al diritto di proprietà sulle Sirene abbandonate dal mare sulle spiagge del Gran Maestro. La lite si concluse a favore del Re: " Sia sancito che le Sirene e gli altri mostri marini che saranno gettati dalle onde sulle spiagge del Gran Maestro entrino a far parte della proprietà del Re". Nel 1910 anche il famoso capitano John Smith ne avvistò una non lontano dal porto di Saint John. Egli la descrisse come un essere dall'aspetto seducente, il viso di una splendida fanciulla, i capelli dai riflessi azzurri. Il resto del racconto si trova nella "Historia Antipodum" di Gottfried.

VAI A: 23:16 La sirena delle Fiji

Nell'agosto 1842 un certo Dottor Griffin arriva dall’Inghilterra a New York trasportando una piccola meraviglia, una vera sirena. Spiega di averla acquistata in Sud America, vicino le isole Fiji, e di essere in viaggio di ritorno verso la Gran Bretagna per esporla al Museo di Storia Naturale di Londra. Il grande interesse suscitato nel pubblico americano, lo costrinse ad esporla per un'intera settimana insieme ad altre creature ibride raccolte.

Una folla enorme si mobilitò per vedere quell'affascinante reliquia, e per assistere alle lezioni di storia naturale del Dr. Griffin. Dopo la settimana di esposizione, la sirena venne acquistata dall'American Museum di New York, che era stato rilevato da P.T.Barnum, famosissimo ricercatore di stranezze.

La sirena venne esposta per un'altro mese. Per attirare il maggior numero di persone, Barnum affisse manifesti dove veniva presentata come una bella e giovane ragazza, mentre la creatura si presentava piuttosto come "l'incarnazione della bruttezza", come la descrisse un critico del tempo.
Barnum mandò poi la sirena in giro per gli Stati Uniti, dove incontrò numerose critiche e accuse di truffa, come quella del naturalista Rev. John Bachman del South Carolina, che stroncò letteralmente l'alone di mistero e venerazione cresciuto intorno alla "sirena". Si scoprì anche che il sedicente Dr. Griffin era in verità Levy Liman, uno dei soci di Barnum stesso, e che avrebbe avuto solamente la funzione di calamitare l'interesse del pubblico e affermare l'autenticità del reperto. L'originale Sirena delle Fiji andò persa nell'incendio del Museo di Barnum nel 1860, ma una sua copia è in possesso dell'Harvard University, ed è esposta nel Peabody Museum of Archaeology and Ethnology.

Quella delle Fiji non fu l'unica sirena ad essere esposta. Ne venne esposta una anche a Bloomsbury, vicino Londra, nel 1921. Il giornale londinese "Daily Express" del 22 Giugno di quell'anno descrisse l'evento: "Siede sulla sua coda, come tutte le sirene migliori, sotto una teca di vetro. Fa occhi da pesce a tutti i visitatori che vengono in pellegrinaggio a vederla. La storia della sirena è una storia romantica. Il suo luogo d'origine è la costa occidentale africana, ma nessuna sa chi l'ha portata a Londra e quando. I due dottori che l'hanno esaminata non ne sono venuti a capo di niente. La figura, avvizzita come una mummia, è lunga 16 pollici circa, femmineo nel busto e nelle proporzioni, e sotto di questa un'eccellente coda di pesce. Il piccolo teschio è terribilmente grottesco, mostrando i suoi 25 denti".

Le Sirene fanno ancora parlare di loro. È del 2011 un famoso “mockumentary”, ovvero falso documentario, dal titolo “Sirene: il mistero svelato”, prodotto da Discovery Channel. Il video, trasmesso nelle tv di tutto il mondo, è talmente realistico e convincente tanto da divenire virale e far credere a gran parte del pubblico che quanto raccontato poteva effettivamente corrispondere a realtà.