Tutti conosciamo la storia di Artù, il giovane predestinato che estrae la spada dalla roccia e diventa inconsapevolmente il legittimo Re d'Inghilterra. Secondo la leggenda Artù, Re dei Britanni, nacque nel castello di Tintagel, sulle scogliere delle Cornovaglia.
Molti studiosi hanno tentato di verificare che la leggenda di Artù, Camelot e la Tavola Rotonda possa essere stata ispirata da figure realmente esistite.
Eppure la spada nella roccia esiste veramente. Solo che si trova in Italia, in Toscana, e non è appartenuta ad Artù, ma ad un altro cavaliere. Galgano da Chiusdino.
Siamo a Chiusdino, vicino Siena, in un posto magico, l’abbazia di San Galgano, una struttura imponente e diroccata. A cielo aperto, perché il tetto crollò alla fine del 1700 per via di un fulmine. Dopo quell’episodio la chiesa fu sconsacrata e andò in rovina, per poi essere rivalutata e tutelata come bene culturale e artistico solo alla fine degli anni ‘20. Oggi è un'importante meta turistica, anche perché qui è possibile vedere l’unica e vera spada nella roccia, appartenuta a San Galgano, all’interno della Rotonda di Montesiepi, un costruzione poco distante dall’abbazia.
Fu un cavaliere, che dopo una giovinezza particolarmente dissoluta, rinunciò improvvisamente al suo titolo per diventare un eremita.
Di Galgano si sa che nacque nel 1148.
Figlio unico dei nobili Guidotti di Chiusdino, condusse un'esistenza spensierata e scapestrata finché, il giorno dopo la morte del padre, sognò l'arcangelo Michele che con una mano teneva la madre e con l'altra una spada fiammeggiante. Il sogno venne interpretato come un invito a farsi cavaliere, e così avvenne.
Alcuni anni dopo, il giovane sognò di nuovo San Michele che, questa volta, lo trasportò a Montesiepi. Qui, in un antro sotterraneo, vide i dodici apostoli intorno ad una tavola rotonda e un crocefisso. Questo sogno e una successiva nuova visione dell'arcangelo, convinsero Galgano ad abbandonare la spada e convertirsi.
Che Montesiepi fosse un antichissimo luogo di culto celtico?
In effetti i celti e i druidi, loro sacerdoti, prediligevano per le cerimonie religiose, luoghi elevati e nascosti dalla vegetazione.
Per di più Montesiepi si chiamava in precedenza Cerboli e il cervo era l'animale totemico dei celti. Un paese non lontano da Montesiepi si chiama poi Brenna che, oltre a richiamare Brenno, il re dei galli, e Bran, l'eroe fondatore dei celti, era il nome con cui i druidi indicavano il principale sacrificio umano: l'annegamento rituale.
La leggenda racconta che il giorno di Natale del 1180, una volta raggiunto il colle di Montesiepi, afferrò la sua spada e la conficcò nel terreno roccioso.
Si rese conto che la spada era diventata una croce, così decise che a partire da quel momento la sua vita sarebbe cambiata. Ripudiò la violenza per intraprendere un percorso di fede. Morì l’anno seguente, a 33 anni, e fu poi canonizzato come Santo qualche anno più tardi.
Nel XII secolo un gruppo di monaci cistercensi si affrettarono a costruire una cappella attorno alla spada, nonostante Galgano non fosse legato al loro ordine, avendo fatto lui una scelta di solitudine ed eremitismo. Oggi la Cappella di San Galgano è affidata a Don Vito Albergo, che prima di portarci alla spada ci mostra una macabra reliquia. In una cappelletta laterale c'è infatti una teca contenente due braccia mummificate. Si racconta che appartenessero ad uno dei tre vandali che, al tempo, approfittando dell’assenza di Galgano, che si era recato a Roma per chiedere il riconoscimento di un suo ordine monastico, provarono ad estrarla. Non riuscendoci, distrussero la cappella. Il giudizio divino non si fece attendere per questo furono attaccati dai lupi.
La spada si trova a terra, transennata e ora coperta da una teca.
Fino al 1924 circa era conficcata in una fessura della roccia e si racconta che poteva essere estratta. Purtroppo a seguito di alcuni atti vandalici il parroco del tempo, don Ciompi, bloccò la lama versando del piombo fuso nella fessura.
La spada fu però spezzata negli anni 60 durante un atto vandalico. Il moncone fu allora fissato sopra la parte di lama ancora nella roccia applicando del cemento. La spada fu spezzata di nuovo nel 1991 da un secondo vandalo, e ancora sistemata con cemento.
Fu poi applicata l’attuale cupola protettiva.
Luigi Garlaschelli, professore associato all'Università di Pavia, è l'unico scienziato ad aver condotto e coordinato un'approfondita analisi sulla spada e sugli edifici, nel corso del 2001, che ha ricordato di recente insieme a Maurizio Calì di Italia Medievale.
Gli esperimenti, pubblicati solo nel 2020, confermano la presenza della lama nella roccia e soprattutto, non essendo possibile datare un metallo, conferma che lo stile dell'arma è esattamente quello di una spada medievale. Analizzando anche un piccolo frammento del ferro della spada è stato possibile concludere, in base alle impurità rilevate nel ferro, che la composizione è in linea con l’origine medievale.
Certo non è possibile sapere con certezza come si sia riuscito ad inserire la spada nella Roccia. Può essere stato lo stesso Galgano ad avere individuato una fessura nella roccia, oppure è possibile che l’abbiano fatto gli stessi monaci cistercensi che costruirono l’abbazia per consolidare la loro immagine.
Forse non sapremo mai in che modo una vera spada medievale sia finita in una roccia.
Ma forse sappiamo come la spada nella roccia sia entrata nella leggenda arturiana.
Il Professor Mario Moiraghi è stato uno dei primi ad approfondire in maniera estremamente meticolosa la vicenda, e studiare, dal punto di vista storico, le possibili relazioni tra la spada nella roccia di San Galgano e la leggenda di Re Artù, nel suo libro “L’enigma di San Galgano”, del 2003.
In effetti il primo a narrare la leggenda di Re Artù è Goffredo di Monmouth, nella sua storia dei Re di Britannia, nel 1135, e in questa prima versione non si fa alcun riferimento a una spada nella roccia. Il racconto di Goffredo descrive le battaglie combattute da Artù in giro per l'Europa. E tra queste è presente anche un racconto in cui Artù lascia la Britannia per combattere contro Roma e tiranneggiarne la popolazione.
In italia le storie di Artù godevano già di notevole popolarità almeno 20 anni prima della nascita di San Galgano. Una prova sarebbe ad esempio presente su l'archivolto che sormonta il portale della Pescheria del duomo di Modena.
Il direttore del Museo del Duomo, Roberto Cavani, spiega così le immagini rappresentate sul bassorilievo.
La storia di Artù che estrae la spada della roccia appare infatti per la prima volta nel “Merlino” del francese Robert de Boron, scritto attorno all'anno 1200, quindi dopo circa 20 anni dalla morte di San Galgano.
La leggenda dell'estrazione della spada nella roccia da parte di Artù ai tempi di Galgano, non era ancora nata: ma spade e frecce conficcate nella pietra o nei muri esistevano già, così’ come guerrieri che avevano improvvisamente rinunciato alla guerra per ritirarsi ad una vita da Eremita.
Rispetto a questo è facile pensare a Guglielmo di Malavalle, un cavaliere di origini francesi che proprio pochi anni prima di Galgano, si ritirò ad una vita ascetica, sempre in Toscana, a Castiglion della Pescaia.
E se parliamo di spade nella roccia possiamo ricordare quella a Rocamadour, nel Périgord, in Francia, dove si conserva ancora oggi una spada incastrata nella roccia, o meglio inserita nella fenditura di una parete rocciosa. Secondo la credenza popolare, dovrebbe essere la famosa “Durlindana”, la mitica spada di Orlando, uno dei paladini di Carlo Magno, apparentemente ben conservata e sopravvissuta fin dal VIII secolo. Nella Chanson de Roland, si racconta infatti che Orlando, dopo la vittoria nella battaglia di Roncisvalle, essendo prossimo alla morte a causa delle ferite riportate, abbia voluto distruggere la sua spada, senza riuscirci, e quindi la gettò via.
Curioso ricordare che a Roma, a poca distanza da piazza del Pantheon, si trova "Vicolo della Spada di Orlando", una strada che presenta - addossato a un palazzo - un grande masso con una fenditura: secondo la tradizione, sarebbe la roccia contro la quale il paladino avrebbe tentato invano di spezzare la sua spada prima di nasconderla.
Torniamo al nostro Galgano perchè c’è un ulteriore elemento che dovremmo considerare, ovvero Gawain, il cavaliere più valente e fidato di Re Artù. Monmouth lo latinizzò in Walganus, italianizzato poi come Galvano.
Un nome che sembra ricordare fin troppo quello del santo.
Galvano, Galgano.
La somiglianza dei nomi potrebbe essere una coincidenza o forse c'è un collegamento di cui nel tempo si è perso il ricordo.
Secondo la ricostruzione di Moiraghi, questo nome compare nel corso del 1100 quasi dal nulla. Secondo lui risulta veramente strano che le possibili connessioni dei due non sia stata approfondita dagli studiosi, quasi si sia voluto mettere in ombra il santo di Chiusdino.
Il mistero si infittisce ancora di più dal momento in cui la storia di Galgano, presenterebbe numerose analogie con la figura di Parsifal e in generale con tutto quel filone narrativo chiamato “Materia di Bretagna” legato alla ricerca del Graal. Come il Parceval francese di Chrétien de Troyes, del 1190, e il Parzival del tedesco Wolfram von Eschenbach, del 1210. Il Professor Moiraghi, nel suo libro, conduce un approfondito e interessante parallelismo tra le opere, rimanendo però senza una risposta certa, data la complessità della materia, la numerosità di opere e soprattutto la loro vicinanza temporale.
In una manciata di anni si presentano sulla scena europea due cavalieri, forse tre. Galgano, Galvano e Parsifal, che si contendono la medesima vita e che condividono il destino di portare un nome la cui origine è per nulla chiara.
Il Prof. Garlaschelli si è fatto una sua idea a riguardo di questi temi, ed una possibile soluzione in grado di unire tutti i puntini di questa storia.
Una spada è pur sempre una spada. Un oggetto ampiamente diffuso, simbolo di forza, di combattimento, di violenza e a volte di prestigio sociale. Tutti elementi ricorrenti nella storia dell’uomo.
Ma la spada di Galgano contiene qualcosa di diverso, qualcosa che i tempi hanno fatto dimenticare forse già poco dopo la sua morte.
L'immagine della spada nella roccia veicola un messaggio formidabile ancora oggi.
La guerra che diventa pace, una spada, strumento di morte, che diventa una croce, strumento di salvezza.
Laddove la leggenda Bretone faceva estrarre ad Artù una spada per andare in battaglia, qui, su un colle vicino Siena, Galgano la piantava nella roccia per ripudiare la guerra, la violenza, e dedicarsi ad una vita di pace e spiritualità.