Lo smemorato di Collegno è un caso che appassionò l'Italia del primo dopoguerra a tal punto da far entrare nel lessico comune questa espressione. Si diceva e si dice ancora per indicare qualcuno che non si ricorda, o meglio che forse fa finta di non ricordare.

E’ la storia di una vicenda privata che si trasformò rapidamente in un fenomeno collettivo che vide coinvolte aree sempre più ampie della società, della politica e delle istituzioni. Il caso ispirò romanzieri, poeti e drammaturghi, tra cui Pirandello, Eduardo De Filippo e numerosi registi cinematografici.

Questa strana storia inizia con una foto su una pagina della Domenica del Corriere del 6 febbraio 1927.
L’immagine di un uomo di circa 45 anni con una lunga barba brizzolata, due grossi baffi a manubrio e una scritta: “Chi lo conosce”?
Nella didascalia si legge che l’uomo si trova nel Manicomio di Collegno, vicino Torino, che è una persona colta e distinta, che parla l’italiano ma che non conosce la sua identità, la sua provenienza e il suo passato. Di lui si sa solo che è stato arrestato circa un anno prima mentre vagabondava all'interno del cimitero israelitico della città di Torino, colto sul fatto mentre cercava di rubare un vaso di rame nascondendolo sotto il suo pastrano. L’uomo non si presentava bene, indossava abiti stracciati, capelli arruffati, barba lunga e incolta.
La polizia l’aveva spedito in manicomio dopo averlo portato in questura.
L’uomo era in evidente stato confusionale, non era in grado di dire chi fosse e da dove venisse. “Io desidero che mi si uccida”, aveva scritto su un foglio.

Un anno dopo, compare nella rubrica “Chi li ha visti?” della Domenica del Corriere. Era una rubrica molto seguita, soprattutto da mogli e genitori. A poco meno di 10 anni dalla fine della prima guerra mondiale sono molte le famiglie che sperano nel ritorno improvviso di un proprio caro scomparso al fronte. Ma questo caso si distingue dagli altri, proprio perché l’uomo misterioso non sa chi è, da dove viene. “L’uomo che smarrì se stesso”, come titola un articolo de La Stampa di quei giorni. In breve tempo l’uomo diventa “Lo smemorato di Collegno”.

Tra i tanti che sperano nel ritorno dei propri cari c’è Giulia Canella, una donna di Verona, che riconosce nella foto sul giornale suo marito, il padovano Giulio Canella.
Un filosofo, un uomo colto, uno stimato professore di pedagogia a Verona.
Giulio Canella era partito per la guerra col grado di capitano, data la sua posizione sociale, e nel novembre 1916 viene mandato con la sua compagnia sul fronte Macedone. Cadono in un imboscata e resta gravamente ferito. I suoi uomini lo vedono mentre viene portato via dai nemici. Gli italiani contrattaccano e riescono a conquistare la posizione, ma di Canella non c’è traccia, né tra i caduti né tra i prigionieri liberati. Giulio Canella era il cugino di Francesco Canella, ricchissimo possidente emigrato in Brasile e padre di Giulia, sua moglie. I due si sposano nel 1913 e hanno due figli: Margherita e Giuseppe. Canella era anche un fervente cattolico con conoscenze in Vaticano, come Padre Agostino Gemelli, con il quale aveva fondato la rivista di filosofia neoscolastica e come Giuseppe Dalla Torre, direttore de L'osservatore Romano.

Giulia dopo la guerra non perde la speranza di ritrovare suo marito, e questa speranza diventa certezza quando va a Collegno per verificare che lo smemorato sia proprio il suo Giulio.

Vennero organizzati quattro incontri, studiati per evitare di stressare troppo l'uomo.
Il primo incontro avvenne all'interno del manicomio, l'uomo senza passato non sembrava badare a lei, al secondo incontro sembrava dare qualche segno di riconoscimento.
Al terzo incontro i due si lasciarono andare ad un caldo abbraccio e al quarto l’uomo confermò di ricordare di lei e dei loro figli.
Certo, era un pò cambiato. Dopo tutto erano passati 10 anni, la guerra, il manicomio.

Ma alla fine la cosa importante: un disperso era tornato dalla guerra, e si era riunito alla sua famiglia. L’uomo che aveva smarrito sé stesso l’aveva finalmente ritrovato.
Un segno di speranza per tutte le famiglie che vivevano quella stessa terribile situazione.
La storia ebbe una fortissima eco su tutte le testate giornalistiche, estendendosi così a macchia d'olio su tutto il territorio nazionale.

Ma dopo pochi giorni avviene un colpo di scena.
Alla questura di Torino arriva una lettera anonima.
Secondo quella lettera lo smemorato non è Giulio Canella, ma un’altra persona: Mario Bruneri.

Mario Bruneri, originario di Torino, era un anarchico, un sovversivo. Già noto alle forze di polizia per alcuni arresti, dal 1922 era ricercato per una serie di reati: truffa, rissa, lesioni, scambio di persona. Si era sposato con Rosa Negro, dalla quale aveva avuto un figlio, ma poi se ne era separato ed era scappato a Genova con l’amante, Camilla Ghedini, anche lei sovversiva. Ricordiamoci che siamo negli anni dell’inizio dell’ascesa del fascismo.
In questura c’è un intero fascicolo su Mauro Bruneri. Ci sono anche le sue foto, e assomiglia in modo impressionante allo smemorato.

Un truffatore ricercato dalla polizia da una parte, uno stimato professore cattolico dall’altra.

La polizia esamina la lettera, compara le fotografie, inizia delle indagini, interroga la famiglia di Bruneri. Con la scusa di dover completare delle pratiche per il rilascio dal manicomio, la polizia preleva quindi il neo Professor Canella dalla residenza in campagna della famiglia.
Lo portano a Torino e qui viene riconosciuto da Rosa Negro, la moglie di Bruneri, dal loro figlio e da altri conoscenti come Muro Bruneri.
La questura prende le impronte dell’uomo, questa pratica era in uso già dalla fine dell’800, e le compara con quelle di Mauro Bruneri presenti nei loro archivi.
Le impronte combaciano.

Inizia un caso giudiziario: il caso Bruneri Canella, il caso dello smemorato di Collegno diventa anche una guerra tra due donne, due famiglie, due fazioni. E di questa storia, che verrà seguita per anni da tutti i giornali, si appassiona tutta Italia. Chi è veramente lo smemorato? Se lo chiedono tutti.

La Professoressa Lisa Roscioni ha approfondito la vicenda anche attraverso un libro dedicato allo Smemorato di Collegno, nel 2007, mettendo in evidenza come questa storia abbia avuto un grandissimo impatto sull’immaginario collettivo sia al tempo che oggi.

Ma per la giustizia italiana alla fine la risposta è una: Mario Bruneri, che dopo una serie di processi, con esito anche contrastante, nel 1931 finisce in prigione per scontare i suoi reati. Grazie ad un'amnistia viene rilasciato nel 1933.
Dal momento dell’inizio delle vicende giudiziarie, l’uomo continuava a dire di essere in realtà Giulio Canella, e così anche Giulia, che ha sempre creduto di aver trovato nello smemorato il marito scomparso.
Ma a quel punto la vita in Italia sembra insopportabile. Non può tornare dalla sua Giulia perché formalmente, come Mario Bruneri, è sposato con un’altra, e per lo stesso motivo non può riconoscere i suoi figli, che nel frattempo aveva avuto proprio con Giulia.
La nuova famiglia Canella non vede alternativa e se ne scappa quindi in Brasile.
Lo smemorato morì a Rio De Janeiro dicembre 1941. Proprio in Brasile si distinse, tenendo conferenze, e pubblicando libri e articoli.

E quindi lo smemorato era proprio Mario Bruneri, come insistevano a dire le indagine della polizia e la sua stessa famiglia, o era veramente Giulio Canella, come asseriva lui stesso e l’altra sua famiglia? Il mistero, il dubbio, rimaneva.

Il programma televisivo Chi l'ha visto?, trasmesso da Rai 3, si occupò del caso in due occasioni. Il 1º aprile 2009 affidò ai RIS dei Carabinieri lettere inviate da Canella alla moglie dal fronte e lettere scritte dallo smemorato durante la detenzione in carcere; l'assenza di tracce di DNA riconducibile a Giulio Canella non permise però il confronto.

Il 9 luglio 2014 il programma ci riprovò facendo un test del DNA condotto grazie alla collaborazione del nipote, Julio Canella, La prova del Dna è stata effettuata comparando il profilo genetico di Julio, nipote certo di Giulio Canella, con quello del fratello Camillo, un figlio dello Smemorato nato dopo la fine della guerra e vissuto in Brasile. Questo perché il cromosoma Y nelle discendenze maschili rimane identico.

L’esito del DNA confermò quello che probabilmente ci si aspettava.
Lo smemorato non era il vero Giulio Canella.

Al di là della scienza, rimane però una certezza: che questa storia è stata soprattutto una grande storia d’amore.