Dopo aver esplorato nello scorso episodio le leggende legate alla grotta della Sibilla, nel parco dei monti sibillini tra Marche e Abruzzo, siamo arrivati dall’altra parte della montagna, sulle pendici del monte Vettore.

Qui c’è un lago, di origine glaciale, teatro di un’altra famosissima leggenda.
Viene chiamato Lago di Pilato perché, secondo la leggenda, qui sarebbe stato gettato il corpo di Ponzio Pilato, dopo essere stato giustiziato a Roma.
Cosa si nasconde dietro questa leggenda? E che legame c’è con la Sibilla?
E’ quello che cercheremo di scoprire.

Il lago, di origine glaciale, una volta era unico. Col tempo si è suddiviso in più parti, ecco perchè a volte questo luogo viene chiamato anche al plurale, come I Laghi di Pilato. Cosa c'entra Pilato con un laghetto degli appennini?

Le leggende legate a Pilato nascono nei primi secoli della Cristianità. La figura di Pilato è una figura fondamentale e controversa. Un funzionario romano che condannò a morte una divinità, addirittura lavandosene le mani e tirandosi indietro dal prendere una decisione che sarebbe spettata a lui. I Padri della Chiesa si posero il problema di capire se Pilato fosse colpevole o no della morte di Gesù. Nacquero quindi due scuole di pensiero: per la chiesa orientale Pilato diventò nel tempo una figura positiva tanto da diventare Santo. Si sarebbe infatti redento e convertito successivamente al cristianesimo. Nella tradizione occidentale però Pilato assume una connotazione quasi demoniaca, che mi sono fatto raccontare dallo scrittore Michele Sanvico.

Il Lago quindi, ben prima che la leggenda di Pilato se ne appropriasse, era conosciuto e frequentato da maghi e negromanti dell’epoca. Come ci ricorda il filosofo Cesare Catà, non è forse un caso che da questi territori è originario un personaggio come Cecco d’Ascoli, condannato al Rogo dall’Inquisizione per le sue teorie considerate eretiche.

A partire dal XIII secolo il lago era quindi luogo di ritrovo di negromanti che vi salivano a consacrare libri di magia ai demoni che ne abitavano le acque. Ogni volta che qualcuno evocava gli spiriti maligni del lago si scatenavano violente tempeste che distruggevano i raccolti della zona, e tale era l'afflusso di questi negromanti da costringere le autorità politiche e religiose del tempo a proibirne l'accesso. Intorno al lago furono alzati muri a secco al fine di evitare il raggiungimento delle sue acque. Antoine de La Sale racconta che per visitare il lago nel 1420 gli fu necessario richiedere un salvacondotto alle autorità della città di Norcia, in quanto chi venisse sorpreso presso il lago senza autorizzazione avrebbe perfino rischiato la vita.

C’è chi ha legato questa tradizione diabolica ad un crostaceo che abita il Lago di Pilato. E’ stato scoperto ufficialmente negli anni ‘50 da Vittorio Marchesoni, ed è per questo chiamato Chirocefalo del Marchesoni. Si tratta di un piccolo crostaceo di colore rosso acceso, è una specie unica al mondo, perché vive solo in questo lago. Ora ne sono rimasti pochissimi esemplari, ma la tradizione vuole che in antichità, la loro presenza avesse contribuito, in alcuni momenti, a far sembrare rosse le acque del lago.
Ho raccolto la testimonianza anche di Maurizio Serafini, originario di questi luoghi, musicista ed esperto di tradizioni e leggende dei Sibillini.

Già nel precedente episodio avevamo parlato di come i territori dei Sibillini fossero connessi, tramite il racconto del Guerrin Meschino, alle terre irlandesi. Ed è curioso notare come anche quel luogo abbia caratteristiche simili a questo, primo tra tutti il fatto di avere una grotta e un lago che diventano l’accesso al mondo degli inferi.
Ma è curioso notare come nell’età classica anche il sito della Sibilla Cumana fosse caratterizzato da una grotta e un lago, il lago d’Averno.

E’ quindi possibile tracciare un unico scenario capace di abbracciare entrambe le leggende?
Sono tornato quindi da Michele Sanvico, che sembra essere riuscito a trovare una visione d’insieme di tutte queste storie.

L’intuizione di Sanvico è semplice ma geniale.
Il terremoto è probabilmente il motivo per cui si sia alimentata per secoli l'aura magica e demoniaca di questi territori.

Una forza ancora capace di spaccare letteralmente le montagne e aprire ferite profonde sotto tutti i punti di vista.