Siamo a Napoli, e in particolare nella Cappella Sansevero, una sorta di Mausoleo della casata Di Sangro, una delle più importanti famiglie nobiliari del XVI secolo. Oggi è una meta turistica molto importante, uno dei più importanti musei della città partenopea.

Nel corso della storia subì varie modifiche e ristrutturazioni, ma il suo aspetto attuale si deve in particolare a Raimondo di Sangro, che negli anni ‘40 del Settecento iniziò ad ampliarla e a commissionare diverse opere d'arte con cui arricchirla, al fine di creare un luogo che testimoniasse la grandezza del suo casato.
E’ grazie a lui che ancora oggi possiamo ammirare opere meravigliose come il Cristo velato del SanMartino, il Disinganno e la Pudicizia. Tutta la struttura ospita capolavori artistici che tolgono il fiato.

Il restauro voluto del Principe Raimondo si caricò di numerosi significati simbolici, volti a trasmettere attraverso la pietra delle statue da lui pensate la sua sapienza alchemica e la sua conoscenza massonica.

Oltre a grande inventore e valoroso soldato, infatti, Raimondo di Sangro fu anche membro della Massoneria partenopea, arrivando a ricoprire persino, pur se per un breve periodo, il ruolo di Gran Maestro della Gran Loggia nazionale di Napoli. Per onorare la sua fratellanza, quindi, decise di riempire la chiesa di famiglia con simboli che la ricordassero e che potessero essere riconosciuti da tutti i suoi confratelli in visita a Napoli ma, soprattutto, che fossero in grado di tramandare i principi massonici senza incorrere nei rischi della censura, visto che all’epoca sia il Re di Napoli, Carlo III, sia il Papa, Benedetto XIV, condannavano questa associazione e i suoi valori.

Sono numerosissimi i riferimenti in questo senso: le dieci statue, le Virtù, che sarebbero il simbolo del percorso spirituale dell’iniziato, il pavimento in bianco e nero raffigurante un labirinto, nel suo intero assetto tutto sembra riprodurre esattamente la pianta di un tempio massonico.

L’immagine scultorea del Cristo morto, ricoperto da una sindone trasparente dello stesso marmo, è la testimonianza dell’altissimo livello di precisione e cura dei dettagli raggiunta dalla scultura napoletana nel XVIII secolo. La sottigliezza del velo è tale da aver indotto per secoli a pensare che il principe abbia inventato una soluzione alchemica in grado di marmorizzare i tessuti, in questo caso un velo per poi ricoprire la statua. Il Cristo velato si pone come conclusione del percorso iniziatico dell'aspirante massone nella ricerca di sé. Si può in definitiva affermare che il principe Raimondo si sia servito di un’iconografia cristiana per descrivere un concetto ideologico di rinascita spirituale, laddove in questo caso il velo è un muro che ogni uomo deve oltrepassare per raggiungere la Verità, la luce oltre le tenebre.

Una personalità estremamente eclettica e poliedrica quella del Principe di Sansevero, che si dedicò a sperimentazioni nei più disparati campi delle scienze e delle arti, dalla chimica alla meccanica, raggiungendo risultati che apparvero “prodigiosi” e contemporanei.

Cosa avveniva la notte all'interno del suo palazzo? È quello che si chiedevano i napoletani del tempo sentendo rumori insoliti, strani odori, bagliori inquietanti e movimenti sospetti. Il suo laboratorio diventò presto il luogo più leggendario della città.

La “Meraviglia”, ci dice Fabrizio Masucci, presidente e direttore della Cappella Sansevero, era una parola ricorrente quando si parlava di Raimondo di Sangro.

Il Principe amava molto gli esperimenti di laboratorio e preparava da solo anche le misture e i solventi per dare ai colori resistenza e vivacità. Una prova è l'affresco della cappella, La Gloria del Paradiso: i colori sono rimasti intatti per quasi tre secoli, senza bisogno di alcun restauro grazie, pare, alle sostanze usate dal Principe e ancora oggi sconosciute. Da alchimista, esercitava spesso l'arte di "sciogliere e coagulare" la materia, tanto da ottenere un particolare mastice per cornicioni, capitelli e statue, capace di restituire notevoli effetti plastici. Le stesse statue simboliche a grandezza naturale della Cappella si dice siano state ottenute grazie ad una tecnica ancora sconosciuta.

Ma è scendendo nella stanza sotterranea della Cappella che troviamo le incredibili macchine anatomiche.
Le Macchine anatomiche, oggi conservate all’interno di due bacheche, si presentano come due scheletri, di un uomo e di una donna, in posizione eretta, sui quali è ben visibile tutto l’apparato circolatorio del corpo umano, quasi perfettamente integro.
La precisione e la minuzia di tutti i sottili filamenti è incredibile, tanto da destare sin dalla loro prima apparizione, seri dubbi sulla fattura posticcia.
Intanto perché il sistema circolatorio, in particolare quello coronarico, non era così ben conosciuto all’epoca, e poi per l’aspetto così intricato di centinaia di fili che si intrecciano e si distendono sulle ossa, come un tessuto troppo complicato per essere frutto della mano umana.

Da qui la leggenda che il Principe fosse riuscito ad ottenere un liquido o una pozione che avrebbe avuto la proprietà di “pietrificare” il sangue, e che lo avesse testato su due suoi servi.
La leggenda si era talmente radicata nei secoli che anche lo stesso Benedetto Croce, agli inizi del ‘900, scriveva

[…] fece uccidere due suoi servi, un uomo e una donna, e imbalsamarne stranamente i corpi in modo che mostrassero nel loro interno tutti i visceri, le arterie e le vene.

Pare che l’esperimento delle macchine anatomiche facesse parte del suo progetto più ampio legato alla ricerca dell’elisir di lunga vita.

La ricerca dell’immortalità fu infatti in qualche modo una costante nella sua vita. Sempre Fabrizio Masucci, ci ha offerto un’interessante riflessione su questo tema:

La leggenda delle macchine anatomiche rimase cristallizzata nel tempo, almeno fino al 2008, quando alcuni ricercatori dell'University College di Londra ebbero l’autorizzazione da parte degli attuali proprietari della cappella ad eseguire esami scientifici sui due modelli.
Da tali studi emerse che gli scheletri sono effettivamente umani, ma che i sistemi circolatori sono completamente artificiali e costituiti da filo metallico, cera colorata e fibre di seta con tecniche artigianali comunemente utilizzate dagli studiosi di anatomia dell'epoca.
Sempre secondo questi ricercatori vi sarebbero alcuni piccoli errori nella riproduzione del circuito sanguigno, tanto che se fossero state reali, nessuna persona sarebbe stata in grado di vivere se avesse presentato tali malformazioni fisiche.

Questi studi però non ebbero una particolare visibilità per il pubblico italiano.
La leggenda restava ancora abbastanza salda al suo posto.
Dovremo attendere ancora qualche anno per un ulteriore sviluppo, quando nel febbraio del 2014 un gruppo di medici dell'Ospedale San Gennaro di Napoli guidata dal Cardiologo Domenico Galzerano, effettuarono nuovi studi.

A questo punto della storia il mistero si arricchisce di nuovi elementi: come poteva il Principe, o chi per lui, conoscere così a fondo un sistema cardiovascolare che sarà studiato solo molti anni dopo? Qualcuno, tra gli studiosi di questo mistero, ipotizza che a monte di quella fedele riproduzione ci siano stati in ogni caso degli esperimenti fatti su esseri umani.

La leggenda nera di Raimondo di Sangro dunque non si spegne.
Ma una cosa è certa. L’immortalità tanto desiderata, Raimondo di Sangro sicuramente l’ha ottenuta, e a distanza di secoli il fascino delle sue opere resta ancora immutato e custodito nel cuore di Napoli.