Il testo delle profezie venne stampato per la prima volta a Venezia nel 1595 da un benedettino di nome Arnold Wion. Lo inserisce in un libro, che diede alle stampe in quell’anno, intitolato “Lignum Vitæ”, una storia del suo ordine monastico. Fu Wion che attribuì le profezie a San Malachia, l’arcivescovo di Armagh, in Irlanda, del XII secolo. San Malachia è una figura importante all’interno della Cristianità, riformò e riorganizzò la Chiesa irlandese e la portò ad essere sottoposta a Roma.
La sua biografia ci è stata tramandata da Bernardo di Chiaravalle, che registrò i miracoli del santo, anche se - stranamente - non fece mai menzione di queste profezie.
La chiesa non si è mai pronunciata in maniera ufficiale sulla profezia di Malachia, ma, come spiega il teologo Antonio Gentili ai microfoni di TV2000, il concetto stesso di profezia è parte integrante del culto cattolico.

Le profezie sono annunci di eventi che si sarebbero verificati e che avrebbero poi dimostrato la validità delle profezie stesse. Però voglio precisare che nel linguaggio biblico il profeta non è tanto colui che annuncia eventi futuri, ma colui che rivela i disegni di Dio, per cui può essere profeta anche chi interpreta eventi passati. In ogni caso, ha finito per assumere questo significato di una realtà destinata a registrare delle verifiche e che ha un valore di ordine morale, cioè è finalizzata a mettere in guardia o di fronte a dei pericoli o nella prospettiva di determinati doni e di determinati benedizioni divine. In ogni caso, la fine del mondo ha sempre costituito l'oggetto preferenziale delle profezie e Gesù stesso ne ha parlato mettendo in guardia, offrendo anche dei segni. Però è importante notare che non si deve parlare solo di fine del mondo in assoluto, ma fine di un mondo.
Allora sotto questo profilo abbiamo le cosiddette apocalissi storiche, cioè ci sono dei periodi della storia che hanno un tramonto o quasi un tracollo. Pensiamo alla fine dell'Impero romano e ci sono delle rinascite. Quindi probabilmente noi viviamo in uno di questi trapassi. E’ l'ultimo? È molto difficile poter rispondere a questa domanda. In ogni caso hai dei caratteri ultimativi, come aveva un carattere ultimativo il passaggio dall'era romana, all'era barbarica, poi all'era moderna. I Santi hanno profetizzato e sicuro e ci sono degli eventi di cui hanno anticipato il verificarsi. L'esempio La fine della Rivoluzione francese è stata ad esempio profetizzata da un certo San Francesco Saverio Maria Bianchi, barnabita, faccio per dire….

Secondo Wion la profezia girava già da qualche anno e, dato che in molti volevano conoscerla, decide di inserirla nel suo libro. Sono solo 4 pagine all’interno di un’opera molto vasta di quasi mille pagine.
Il religioso inserisce i motti originali in latino e, per i papi precedenti a lui, inserisce l’associazione al pontefice corrispondente, indicandone la motivazione.

Ad esempio, il primo Papa della lista, identificato dal motto “Ex Castro Tiberis”, “dal castello sul Tevere”, sarebbe riferito a Celestino II, in quanto originario di Città di Castello, sul Tevere. Oppure come il caso di Clemente IV, papa tra il 1265 e il 1268, identificato dal motto “Draco Depressus”, ovvero “Il drago abbattuto”, riconducibile al suo stemma dove appare un drago nelle grinfie di un aquila.

Secondo la tradizione, riportata anche dall’Enciclopedia Cattolica del 1913, Malachia fu convocato a Roma nel 1139 da Papa Innocenzo II. In quell’occasione Malachia avrebbe avuto una visione dei futuri papi, fino alla fine dei tempi, che registrò con una sequenza di frasi criptiche. Questo manoscritto fu quindi depositato nell’Archivio Segreto Vaticano, e dimenticato per quasi 400 anni fino alla sua riscoperta nel 1590, giusto in tempo per un conclave papale in corso al tempo.

Profezia di Malachia

Profezia di Malachia

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In effetti il tempismo con cui questa profezia viene riscoperta, secondo gli storici, è quantomeno sospetto. Viene pubblicata infatti in un momento difficile per la Chiesa.
Urbano VII è stato Papa per soli 12 giorni, e la riforma protestante stava diventando sempre più popolare. Molti storici pensano che la profezia venne di fatto fabbricata nel Conclave del 1590, un conclave particolarmente tumultuoso, che durò addirittura 57 giorni, dal quale emerse poi l’elezione di Gregorio XIV, probabilmente per dare un segnale di stabilità sulla durata della Chiesa, che in quel periodo stava attraversando una forte crisi.
Ci sono poi altri elementi, dibattuti dagli storici, ovvero come mai siano presenti nell’elenco sia i Papi che gli antipapi. E’ molto strano, secondo alcuni. Secondo altri non lo sarebbe affatto, dato che anche gli antipapi ebbero a livello storico un forte peso.
Sono presenti inoltre delle incongruenze. Alcuni motti, infatti, spesso legati ad aspetti biografici o agli stemmi papali, riporterebbero gli stessi errori presenti nella storia ecclesiastica scritta da Onofrio Pavinio nel 1557.

C’è quindi la forte possibilità che lo scritto sia stato quantomeno manomesso in vista della prima pubblicazione.
Ma come spiegare le incredibili corrispondenze dei papi successivi fino ai giorni nostri?

Ad esempio il motto riconducibile a papa Benedetto XV, che pontificò durante un periodo particolarmente difficile, cioè durante la Prima Guerra Mondiale, la rivoluzione russa e l’epidemia di spagnola è “Religio depopulata”, “Religione devastata”.
Segue il motto “Fides Intrepida”, “Fede Intrepida”, corrispondente a Pio XI, che si espose contro i totalitarismi di Stalin, Hitler e si oppose all’ascesa di Benito Mussolini e del fascismo, e alle disposizioni che questi emanarono contro la Chiesa Cattolica.
Il papa che seguì, Pio XII, che pontificò durante la seconda Guerra Mondiale, si impersonificò talmente tanto nel suo motto predetto da Malachia, ovvero “Pastor Angelicus”, che commissionò addirittura un film documentario con questo esatto titolo per rivolgere a tutto il mondo un invito all’amore cristiano.
“Pastor et Nauta”, “Pastore e Marinaio” è il motto associato a Giovanni XXIII, eletto nel 1958. Angelo Roncalli era effettivamente uomo di umili origini - pastor - e fu Patriarca di Venezia.
Il 108esimo Papa è identificato come “Flos Florum”, ovvero “Fiore dei Fiori”. Il Giglio è da sempre chiamato “Il fiore dei fiori”, e nello stemma di Giovan Battista Montini, il futuro Papa Paolo VI, appaiono proprio tre gigli.
Nel 1978 sale al soglio pontificio Albino Luciani, che prende il nome di Giovanni Paolo I. Il suo pontificato però dura solo 33 giorni. Per lui Malachia aveva predetto “De medietate Lunae”, da alcuni interpretato come “il tempo di una luna”, proprio la durata del suo papato.
I successivi 27 anni sono legati al pontificato di Giovanni Paolo II, che nella profezia veniva annunciato come “de labore solis”.
Questa espressione latina, che superficialmente potrebbe essere tradotta come “della fatica del sole”, facendo pensare ai grandi viaggi per il mondo fatti incessantemente da Papa Wojtyla, in realtà sta ad indicare il fenomeno dell’eclissi solare. E, come ricordava l’astrofisico Mario Menichella ai microfoni di Rai 2 nel 2008, questa interpretazione, legata a Giovanni Paolo II, ha quasi dell’incredibile.

Il motto che descrive Papa Wojtyla “De labor solis”, che vuol dire della fatica del sole, potrebbe trovare una spiegazione nel fatto che Papa Wojtyla nacque proprio il giorno in cui vi fu un'eclisse di sole. Tra l'altro è anche interessante il fatto che il suo funerale fu celebrato proprio il giorno in cui si verificò un'altra eclisse di sole. E chi si intende un po' di astronomia sa che l'eclisse di Sole sono dei fenomeni estremamente rari.

Segue poi un ultimo motto: “Gloria Olivae”, la gloria dell’ulivo.
Secondo alcuni l’interpretazione del motto sarebbe da ricondurre al fatto che Joseph Ratzinger, ovvero Benedetto XVI, nel 2009 proclamò santo Bernardo Tolomei, fondatore dell’ordine degli Olivetani, congregazione monastica proprio dell’ordine di San Benedetto.

Con l’arrivo di Jorge Mario Bergoglio, ovvero Papa Francesco, siamo arrivati quindi alla fine della profezia e cresce la preoccupazione.
Dopo il motto “Gloria Olivae”, infatti, nella profezia sono presenti due frasi conclusive, spesso considerate come un unico testo, ma che in realtà dovrebbero essere considerate divise, rivelando quindi un ultimo motto. “Regnerà durante l’ultima persecuzione della Chiesa” - il motto che potrebbe essere attribuito a Papa Francesco - e poi “Pietro Romano, che pascerà il gregge fra molte tribolazioni; passate queste, la città dai sette colli sarà distrutta e il tremendo Giudice giudicherà il suo popolo. Fine.”

Papa Francesco sarebbe quindi l’ultimo Papa prima che arrivi il “Petrus Romanus” della profezia che, come dice Malachia “pascerà il gregge fra molte tribolazioni” per poi assistere subito dopo alla fine dei tempi?
Ad alimentare anche un pò di confusione a un certo punto sulla profezia di Malachia si è voluta innestare un’antica leggenda romana, quella secondo cui la fine della Chiesa sarebbe arrivata con un Papa Nero.
A farlo è stato l’autore Olaf Shom Kirtimukh, di origine indiana, che viene spesso identificato come il maggiore esperto della profezia di Malachia, a cui ha dedicato oltre dieci anni di studio e ricerche. È autore di alcuni romanzi sul tema, dove aspetti storici vengono inseriti in un contesto di finzione.
In una dichiarazione alla trasmissione Voyager, su Rai 2, andata in onda il 3 dicembre 2008, in uno speciale dedicato alla famosissima presunta profezia dei Maya secondo la quale nel 2012 sarebbe finito il mondo, Olaf asserisce di aver scoperto a Viterbo un motto dimenticato della profezia di Malachia, “Caput Nigrum”, ma non solo non si sa dove l’abbia visto ma anche ammesso che esista, di fatto non esiste nessun collegamento con Malachia e la profezia. Sembra piuttosto un espediente narrativo per il suo romanzo a cui ha cercato di attribuire anche una valenza storica.

L’autore fa però un’osservazione molto interessante che potrebbe aiutarci a capire perché la lista dei papi attribuita a Malachia preveda esattamente quel numero di Papi.
Perchè quel numero esatto?
La risposta si troverebbe quindi nella Basilica di San Paolo fuori le mura, a Roma.

Lo storico dell’arte Antonio Paolucci, ex direttore dei Musei Vaticani, mi ha raccontato alcuni dettagli di questo luogo, la seconda chiesa più grande al mondo dopo quella di San Pietro in Vaticano.

San Paolo fuori le mura va vista dal Tevere. Delle quattro basiliche papali è l'unica che si trovi fuori dalla cerchia delle Mura Aureliane. L'area su cui sorge sta infatti fra la riva sinistra del Tevere e la via Ostiense. È un edificio che fece erigere Costantino sul luogo che la tradizione indicava come quello della sepoltura di San Paolo. Venne consacrata da papa Silvestro nel 324. Quella che oggi stiamo vedendo non è certo la basilica costantiniana, ma piuttosto è la grande chiesa riedificata nel corso dell'Ottocento e fino ai primi decenni del Novecento dopo il terribile incendio del 1823. L'incendio avvenne nella notte del 15 luglio dell'anno 1823. Per una disattenzione potremmo dire gli operai che lavoravano al cantiere di San Paolo. Un fuoco rimasto acceso durante la notte si estende ai legni del tetto e molto presto invade e distrugge l'intero edificio sacro alla basilica. Il giorno dopo l'incendio appare distrutta come dopo un bombardamento aereo si vedono solo i mozziconi delle pareti, si vedono le travi fumanti e crollate. Una delle chiese più antiche e più celebri della cristianità è ridotta a un cumulo di rovine, cosa notevole in un certo senso consolante, che la ricostruzione realizzata dopo l'incendio del 1823 è riuscita a conservare la spazialità e quindi la suggestione, la maestosità dell'antica San Paolo.
“Niuna innovazione dovrà introdursi nelle forme, proporzioni architettoniche, niuna negli ornamenti del risorgente edificio”. Così aveva detto Leone 12º nel 1825. L'interno di San Paolo fuori le mura è anche noto perché porta. Le immagini mosaico dei papi che si sono succeduti nei secoli. Tutta la sequela due volte millenaria dei romani pontefici, da San Pietro a Albino a Cleto e via via fino fino fino a Giovanni Paolo II fino al Papa attualmente regnante. Tutti sono rappresentati i più famosi e i meno famosi. Quando Pio 9.º, in pieno 800, volle che venisse riprodotta all'interno di San Paolo fuori le mura. L'iconografia dei papi voleva continuare una tradizione che era iniziata nel V secolo addirittura da papa Leone Magno, che fu pontefice fra il 450, il 461. E proseguita questa consuetudine fino al Giubileo del 1750. Poi l'incendio, naturalmente, ha devastato tutto. Però non tutto perché 41 immagini dell'antico ciclo in affresco si sono conservate. Noi possiamo vederle nel cosiddetto corridoio dei Papi, all'interno del monastero benedettino.

Anche se la basilica fu vittima di un incendio, come spiega Paolucci, quando fu ricostruita si ebbe grande attenzione a seguire pedissequamente le vecchie decorazioni, in particolare i tondi papali. Questi tondi corrono ininterrottamente lungo il perimetro delle mura al di sopra dei capitelli delle colonne, per tutto l’edificio. Ma per quanto la basilica possa essere immensa lo spazio a disposizione ha comunque un suo limite.


L'interno della Basilica di San Paolo Fuori le Mura, con i tondi papali

E’ interessante notare come il numero dei tondi papali predisposti in origine, 240, combacia perfettamente con l’elenco di Papi previsti della profezia di Malachia.
Ai tempi di Giovanni Paolo II erano infatti rimasti solo 3 tondi liberi, tanto che ne vennero realizzati altri 25, proprio per scongiurare dicerie e leggende nefaste.

Se ci atteniamo al numero originale di tondi previsti e considerando i papi che si sono succeduti dopo Giovanni Paolo II, dobbiamo effettivamente constatare che ad oggi rimarrebbe un solo tondo vuoto, proprio quello di “Petrus Romanus”.

L’idea che la profezia di Malachia possa essere stata guidata dal numero dei papi previsti all’interno della Basilica di San Paolo fuori le mura è estremamente affascinante, ed è difficile pensare che si tratti di una coincidenza. Molto probabilmente è questa la vera origine del numero così preciso nella progressione dei Papi.

E le corrispondenze dei motti con i relativi Papi?

Secondo la profezia Papa Francesco “Regnerà durante l’ultima persecuzione della Chiesa”.

Mi ha colpito molto riascoltare le parole di Bergoglio quando, ai tempi del suo insediamento, spiegò pubblicamente il perché abbia voluto chiamarsi Francesco.
Sembrerebbe che ancora una volta si riesca a dare un senso al motto indicato dalla profezia.
Sarà solo una mia suggestione?

Alcuni non sapevano perché il vescovo di Roma ha voluto chiamarsi Francesco e alcuni pensavano a Francesco Saverio, a Francesco di Sales, anche a Francesco d'Assisi. Io gli ho raccontato la storia. Nell'elezione io avevo accanto a me l’arcivescovo emerito di San Paolo e anche prefetto al merito della Congregazione per il Clero, il cardinale Claudio Humes. Un grande amico, un grande amico. E quando la cosa diveniva un po 'pericolosa, lui mi confortava. E quando i voti sono saliti a 2/3. Viene l'applauso consueto perché è stato eletto il Papa e lui mi abbracciò, mi baciò e mi ha detto “Non ti dimenticare dei poveri”. E quella parola, parola, entrata qui. I poveri, i poveri. Poi. Subito in relazione i poveri. Ho pensato a Francesco d'Assisi. Poi. Ho pensato alle guerre. Mentre lo scrutinio proseguiva fino a tutti i voti. E Francesco è l'uomo della pace. E così è venuto il nome nel mio cuore, Francesco d'Assisi. Però. L'uomo della povertà, l'uomo della pace, l'uomo che ama e custodisce il creato. In questo momento anche noi abbiamo col creato una relazione non tanto buona. È l'uomo che che ci dà questo spirito di pace, l'uomo povero. Ah, come vorrei una chiesa povera e per i poveri.