Era il 1 novembre 1962 quando il primo numero di Diabolik apparve nelle edicole italiane.
Fu una pubblicazione che lasciò subito il segno: misterioso, violento, conturbante, estremamente moderno per l’epoca. “Il re del terrore”, il titolo della sua prima storia.
Rileggendo oggi quel primo episodio possiamo dire che l'impostazione del personaggio era già perfettamente delineata: Diabolik era un ladro di un'abilità e una ingegnosità fuori dal comune, capace di assumere diverse fisionomie grazie a maschere di plastica sottilissima che lui stesso aveva inventato e provvedeva a realizzare.
Diabolik divenne quasi da subito uno dei più grandi successi editoriali. E lo è ancora oggi, dopo 60 anni dal suo esordio.
Diabolik è stato ideato da due sorelle milanesi, le sorelle Giussani. Angela e Luciana. Belle, emancipate e controcorrente, per portare avanti il loro progetto diedero vita ad una loro casa editrice: la “Astorina”.
Un fatto curioso di Diabolik è legato al suo formato. Le sorelle Giussani, che allora abitavano vicino alla stazione Nord di Milano, avevano voluto creare un formato adatto alla lettura in treno, calibrato per le migliaia di pendolari che ogni giorno vedevano passare sotto le loro finestre.
Una geniale intuizione di marketing, copiata negli anni successivi da decine di editori di fumetti tanto da diventare di fatto uno standard per molte pubblicazioni.
E poi il nome. Diabolik.
Secondo i racconti pare che le autrici si siano ispirate da un famoso, quanto mai misterioso delitto, avvenuto nel 1958 a Torino, in via Fontanesi.
Il 26 gennaio di quell’anno, tra le centinaia di lettere che ogni giorno arrivavano alla redazione della Stampa, la cui sede era allora in Galleria San Federico, ce ne era una scritta a matita con la carta carbone su un foglio protocollo a quadretti, che era stata spedita qualche giorno prima da Porta Nuova.
La lettera riportava un testo un pò delirante, con la quale l’autore confessava un omicidio.
Il misterioso messaggio finiva in questo modo: “Leggendo con attenzione la lettera troverete con precisione dove è stato compiuto il mio delitto perfetto”.
La lettera terminava con uno strano nome apposto in calce: Diabolich - con la ch finale.
Un testo analogo era stato spedito anche in questura.
In poco tempo venne risolto lo strano rebus: le sillabe terminali di ogni riga della prima parte componevano un indirizzo: VIA-FON-TA-NE-SI-20, una breve e stretta strada del quartiere Vanchiglia, compresa tra corso Tortona e la Dora.
Al piano terra di questo stabile, in un laboratorio da poco dismesso da un calzolaio, venne così scoperto il cadavere di Mario Giliberti, ventisettenne foggiano di Lucera che da poco più di un anno e mezzo era giunto a Torino dove era stato assunto dalla Fiat.
Il suo corpo era orribilmente martoriato da 18 coltellate.
Il delitto (tutt’oggi irrisolto), appare senza un chiaro movente e privo di tracce su cui indagare.
La Lettera del delitto in via Fontanesi
Reputato come delitto perfetto suscita immediatamente un grandissimo eco mediatico, e quattro anni dopo le sorelle Giussani, probabilmente, si lasciarono ispirare dal nome di questo misterioso assassino per dare un nome al loro personaggio: Diabolik.
Spietato, astuto e particolarmente atletico, il Diabolik del fumetto era a conoscenza delle più moderne tecnologie da adattare alle sue macchine, ai su oi trucchi, ai suoi rifugi, alle sue incredibili fughe.
Per uccidere i suoi nemici usava solo armi bianche, preferibilmente il pugnale, che manovrava con disinvoltura e grande abilità.
Il suo antagonista era l’ispettore “Ginko”, intelligente quanto il criminale, che, da allora, ha dedicato tutta la sua vita alla caccia dell'inafferrabile criminale.
A partire dal numero 3 apparve anche “Eva Kant”, che s'innamorò di lui e gli si unì nelle sue spericolate imprese.
Ho trovato una rara intervista del giornalista Vincenzo Mollica, rilasciata nel 2009 in occasione della più grande mostra dedicata proprio a Diabolik, nel cuore di Roma, in cui descrive molto bene come le sorelle Giussani siano arrivate a definire il loro personaggio.
Intanto erano due donne di rara intelligenza e di rara cultura. Io le ho conosciute e le ho intervistate all'inizio. Alla fine degli anni 70 erano due donne che avevano grandissima classe, un un'eleganza d'altri tempi e una cultura d'altri tempi. Nascevano da una cultura molto viva milanese, lombarda. Avevano letto Longanesi, avevano letto Prezzolini. Insomma, c'era tutto un bel background in quella cultura della loro infanzia. Non dimentichiamoci mai che c'erano i Phaeton. C'erano delle favole che all'inizio del secolo noir, molto pulp, era un palco ante litteram e comunque animavano le letture di tanti giovani, di tanti per tante persone di tutte le età. E con loro poi hanno creato attraverso Diabolik una favola moderna in cui viene raccontato il nostro tempo. Se si guardano tutti gli annali di Diabolik si trovano anche tutte evoluzioni di costume dell'Italia. Soprattutto l'aspetto culturale di Diabolik è un aspetto che non va mai sottovalutato. E cioè che il fumetto è arte e l'arte che esprime la espressa, la espressa anche proprio attraverso Diabolik e tante storie di Diabolik nella loro serialità si possono considerare dei piccoli capolavori di letteratura disegnata cioè quando i critici letterari, quando i critici d'arte si accorgeranno che il fumetto è un'arte, allora dovranno scrivere qualche capitolo in più della loro storia dell'arte e finalmente consegnare come meritano a pagine importanti e a critiche importanti personaggi come Diabolik, Corto Maltese, Tex Willer, solo per citare gli italiani. Insomma, ecco, credo che la Diabolik abbia ispirato la pop art facendola senza accorgersene. Ecco, questo è quello che hanno fatto le signore Giussani.
Non solo nelle storie di Diabolik troviamo quindi enigmi, intrighi e omicidi singolari, ma persino nel personaggio che gli ha dato un volto troviamo un autentico mistero.
L’autore dei disegni del primo numero, “il re del terrore”, rimangono anonimi per decenni. Solo negli anni ‘90 viene fuori un nome. Angelo Zarcone.
Di questo disegnatore si sa solamente che era italiano, di carnagione chiara, che al tempo avrebbe avuto circa trent'anni, ed era soprannominato "Il tedesco".
Pare che questo soprannome gli fosse stato dato perché aveva spesso con sé il figlio avuto con una donna, appunto, tedesca. Ma pare fosse “tedesco” anche per il suo aspetto e il suo abbigliamento, visto che indossava sempre pantaloncini, sandali e calzini corti.
Viveva in una pensione, sotto la quale Gino Sansoni, il proprietario della casa editrice, e lo sceneggiatore Pier Carpi, erano costretti ad appostarsi per costringerlo a terminare le tavole di Alboromanzo Vamp, un popolare fumetto erotico di quegli anni, che consegnava sempre in ritardo pur avendo ricevuto il pagamento in anticipo.
Zarcone disegna il numero di esordio di Diabolik e gli dà un volto.
Consegnate le tavole, il disegnatore sparisce senza lasciare recapiti. Per rintracciarlo le sorelle Giussani si rivolgono alla pensione in cui il disegnatore abitava, ma trovano una sorpresa: il signor Angelo Zarcone è completamente sconosciuto. Il titolare della pensione dice che lì non ha mai abitato nessuno con quel cognome.
Dove è finito? Perché è scomparso? Cosa può essergli successo? Ma soprattutto. Qual era la sua vera identità?
Ancora oggi sono in molti a chiederselo. Sono molte le voci, ma nessuna risposta certa.
Le poche informazioni che abbiamo su questo misterioso personaggio si devono in gran parte alle ricerche dello storico del fumetto Gianni Bono, che ebbe modo di parlare con molti addetti ai lavori di quegli anni per recuperare alcune informazioni, purtroppo estremamente frammentate.
Gianni Bono ne parlò soprattutto con Brenno Fiumali, storico autore delle copertine di Diabolik nonché direttore artistico della collana.
Gianni Bono chiese a Brenno, che asseriva di aver conosciuto Zarcone personalmente, di fargli un suo ritratto.
Brenno prese quindi la matita e iniziò a disegnare. In pochi secondi si materializzò sotto i suoi occhi il volto di un uomo avvolto nel mistero per quarantatré anni.
Il giorno dopo, forse non contento del risultato, Brenno mandò a Bono un secondo ritratto di Zarcone, questa volta ripassato a china. L’uomo era decisamente più giovane e con uno sguardo che lui definì quasi diabolico.
Il primo identikit di Zarcone realizzato da Brenno Fiumali, 2005.
Brenno Fiumali definisce l'aspetto del misterioso Zarcone, 2005.
Nel 2019 il regista Giancarlo Soldi ha realizzato un docufilm dal titolo “Diabolik sono io”, che, per ripercorrere la genesi e la storia delle sorelle Giussani e della loro opera, ricostruisce tra realtà e finzione l’ipotetica vita dello sfuggente disegnatore dopo la sua scomparsa.
Ho cercato di capire cosa sappia lui della figura di Zarcone, che lo ha ispirato per lo sviluppo del suo documentario.
In Diabolik c'è una come dire una modernità di fondo. Ed è oggi più che mai importante. Soprattutto perché è stato fatto nel 1962 da due donne che lavoravano con una redazione di Tutte donne, raccontando la storia di un criminale ladro e efferato assassino. In un'epoca in cui l'Italia benpensante non approvava tutto questo. Ma loro imperterriti sono andati avanti con la loro visione, con la loro visionarietà. E a tutt'oggi personaggi. Ancora il personaggio è qua, vivo insieme a noi, insomma. E quella la cosa straordinaria. Angelo Zarcone è un nome di convenzione. Si pensa che si chiami Zarcone, forse Angelo, ma non è provato. E la persona che ha disegnato il primo albo di Diabolik in maniera rocambolesca, nel senso che ogni settimana portava 2 o 3 tavole che gli venivano pagati, pagate, prese in mano, per cui non esistono documenti firme, non esiste nulla. Lui era stato contattato da un'altra persona e portato dalle Giussani. E nel momento in cui lui consegna l'ultima tavola, il giorno dopo scompare. Non si fa più vivo, non riescono a trovarlo. Ma che c'erano i cellulari, che uno era reperibile nel posto in cui lui andava a dormire? La pensione che aveva dato come riferimento non risultava quel nome per cui niente è scomparso per sempre, per sempre. Mai più ritrovato. Io sono rimasto allibito. Non sapevo di questa cosa. Non lo sapeva nessuno. Perché la prima volta che esce il nome di Zarcone nel mondo del fumetto e nel 92 ci pensa sette anni prima, loro invece mi raccontano questa storia che però volevano dimenticare.
E però alcune cose, altre sere mi hanno raccontato piccolissime perché era difficile che loro si lasciassero andare a questa storia decennale. Hanno chiamato Tom Ponzi perché lo cercasse in tutta Italia, per festeggiarlo, perché in fondo lui ha inventato quegli occhi febbrili e niente non ha trovato. Nel ventennale, addirittura un altro detective è andato alla ricerca in tutta Italia hanno trovato un angelo, Zarcone. C'è un Sarkozy che appunto si chiamava Angelo, macellaio in Sicilia, ma che non aveva parenti che diventassero fumetti. Per cui è scomparso letteralmente. E lì è venuta l'idea di capire dove era andato a finire e raccontare, attraverso lo immaginato smemorato e attraverso i suoi occhi. Raccontare Diabolik, il topolino numero uno. C'è veramente una storia misteriosa, molto misteriosa, che poteva essere veramente il trampolino per raccontare un personaggio così misterioso come Diabolik? Perché Diabolik, non dimentichiamolo. Non c'è neanche un nome. E questo si inizia con una intervista delle Giussani che ho ritrovato. Una pellicola mai andata in onda in Rai perché era fallata. L'ho fatto io per caso. La mia ricerca l'ho trovata perché avevo un codice. Sulla scatola c'era scritto o D.B.. Che ho subito collegato a Del Buono, ma che non è lui quello che ha fatto l'intervista e l'ho fatta restaurare delle Cinemaware e abbiamo scoperto una cosa pazzesca. E questa intervista di loro che bevono il tè, raccontano diaboliche come se fossero arsenico, vecchi merletti, è una cosa meravigliosa, dialoga con tutto il film. Insomma, sono molto contento del risultato.
Per decenni sono in molti ad aver cercato di trovare la soluzione all’enigma di Angelo Zarcone: l’esperto Gianni Bono in primis, il detective Tom Ponzi ingaggiato dalle stesse Giussani, diversi appassionati e addetti ai lavori nel settore del fumetto, come Silvio Costa e la redazione di Fumo di China, storica rivista sul mondo dei fumetti.
Nessuno è mai riuscito a trovare una soluzione, tanto che negli anni è stata anche avanzata l'ipotesi che non sia mai esistito alcun Angelo Zarcone, il cui nome appunto venne fuori ufficialmente solo nel 1992, guardacaso esattamente l'anno in cui è stata dichiarata anche la paternità artistica della prima copertina.
Ma poi accade che nel marzo 2019, in occasione di Lucca Collezionando, uno dei festival più importanti nel collezionismo di fumetti, durante un evento di presentazione di un libro dedicato allo storico artista Bruno Prosdocimi, lo stesso Prosdocimi involontariamente ha rivelato di conoscere la vera identità del fantomatico Zarcone.
Tutti sono rimasti di stucco e la notizia si è sparsa velocemente tra gli appassionati.
Secondo la testimonianza di Prosdocimi, Angelo Zarcone sarebbe effettivamente un nome di fantasia ricavato addirittura da un’insegna di un negozio, e coprirebbe un lavoro collettivo di più autori.
Il primo numero di Diabolik sarebbe stato quindi un lavoro corale che avrebbe coinvolto le matite del viterbese Carlo Porciani, scomparso purtroppo nel 2015, in forza allo storico Studio Dami e attivo su tantissime pubblicazioni anche per bambini.
Insieme a lui avrebbero lavorato anche altri autori già attivi per Diabolik, come Brenno Fiumali e soprattutto Calissa Giacobini in arte "Kalissa", che verrà accreditata come autrice dei disegni del secondo numero di Diabolik per poi abbandonare definitivamente il mondo del fumetto.
Un confronto telefonico con Gianni Bono mi ha chiarito che al tempo non era insolito che gli autori di fumetti si firmassero con pseudonimi o non si firmassero affatto. Questa professione non era ancora regolamentata e molti lavoravano senza contratti regolari. Allo stesso tempo non era raro che alcuni autori fossero attivi su progetti molto diversi tra loro e avessero bisogno di mantenere l’anonimato.
Non era raro che lo stesso autore passasse da una storia per ragazzi de “Il Corriere dei Piccoli” al fumetto erotico o comunque per adulti, e questa cosa non poteva essere fatta con leggerezza.
In ogni caso, secondo Boni, il “tedesco” sarebbe esistito veramente, la sua identità non si conosce ma molto probabilmente non ha mai avuto nulla a che fare con Diabolik.
Per quanto riguarda il misterioso autore del primo numero di Diabolik, per molti l’enigma sembrerebbe risolto, ma penso che questa storia rimarrà ancora a lungo avvolta dal mistero.
Molte cose rimangono ancora senza spiegazione e ci sono molte incon gruenze.
Credo che Zarcone continuerà eternamente a fuggire e non farsi catturare, proprio come il personaggio a cui diede vita.
“Diabolik è un fuggiasco”, dice Mario Gomboli, il suo editore.
Diabolik è un fuggiasco. E sempre intento a scappare da qualcuno o da qualcosa che sia la polizia, che sia qualche criminale che lui ha derubato e continuamente in fuga e questo condiziona molto la sua vita. Diabolik non può avere un cagnolino, non può avere un pesce rosso, neanche un bonsai. D'altra parte, il fatto di essere inseguito, essere in pericolo fa parte del suo fascino e del fascino che lui prova per la vita, le fughe di Diabolik che siano con uno dei suoi tanti strumenti o semplicemente a piedi, magari rocambolescamente, usando tutta la sua agilità, la sua capacità anche di mimetizzarsi nel contesto. Non dimentichiamo che una delle grandi caratteristiche capacità di Diabolik è quella di confondersi con il mondo che lo circonda, di truccarsi, di assumere l'aspetto di chiunque e così ingannare gli inseguitori spacciandosi per qualcun altro.